Gatsu l’Orfano

Questo articolo lo dedico a tutti i fan di Berserk ma anche ai miei amici che non hanno tempo (o voglia) di leggerlo. Contiene degli SPOILER, ma ho cercato di ridurli al minimo nel caso poi vi venga voglia di leggervi il manga completo.

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Chiunque abbia letto Berserk in un periodo difficile della propria vita vi rimane poi legato per sempre. Io non faccio eccezione. Durante gli anni universitari me ne sono capitate di tutti i colori, e nel 2022 presi la decisione, per puro istinto, di leggere questo manga chiamato Berserk. Non sapevo molto, tranne che era un cult ma allo stesso tempo una storia terrificante.

Ne sono uscita ossessionata e allo stesso tempo cambiata. Avevo trovato una miniera d’oro, una storia di una completezza e ricchezza di rimandi simile per me solo ad Avatar: l’ultimo dominatore dell’aria. Kentaro Miura, il geniale autore di Berserk, ha saputo prendere ispirazione da quanto di meglio la cultura occidentale poteva offrire ad un uomo orientale, e ha usato questo per creare quella che a tutti gli effetti è una moderna tragedia greca, dotata dello stesso potere catartico delle storie antiche. (Per un approfondimento di questo argomento in particolare, rimando a questo video: https://www.youtube.com/watch?v=zxTwYdYzw8c )

Mentre ero afflitta dalla mia personale oscurità, Berserk mi dava pace e conforto. Non erano i suoi orrori e le sue oscenità, dipinti con crudele realismo, ad alleviare l’animo ferito, bensì l’approccio eroico con cui il protagonista, Guts, si opponeva a tutto il male che gli pioveva addosso, pagina dopo pagina. La vita era una merda, però andava vissuta lo stesso, senza dargliela vinta.

Non so se ero già in possesso del libro di Carol Pearson sugli archetipi, ma so solo che, ad un certo punto, dopo letture e riletture di Berserk, e dopo altrettante letture del capitolo sull’Orfano, realizzai che Guts era l’Orfano per eccellenza, e fu un momento epifanico per me. Se avete letto i miei precedenti articoli sull’Innocente e sull’Orfano, potrete intuire il perché, sennò ve lo spiego io, in poche parole:

rifiutavo di accettare la realtà così com’era, senza filtri e senza vie di fuga. Se l’avessi accettata, sarei sicuramente cresciuta, ma non potevo farlo. Una parte di me cercava di impedirmelo, per proteggermi, in un modo però che mi rendeva codipendente e incapace di stare in piedi con le mie forze. Questa parte però stava perdendo terreno e io ero scoperta e vulnerabile alla sofferenza. Nel bel mezzo di questo caos, arriva Berserk. Compartecipando ai sentimenti del suo protagonista, Orfano per eccellenza, sono riuscita a risvegliare il mio. Alla fine non ho avuto più bisogno di rileggere Berserk, perché la mia Orfana ha imparato da Guts tutto ciò che c’era da imparare. Si può accettare la vita così com’è, senza più bisogno di fuggirle.

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Perché Guts è l’Orfano?

Guts subisce un elenco infinito di esperienze orfanizzanti. Nasce da una madre morta tanto per cominciare. Poi praticamente quasi tutti quelli che entrano in contatto con lui muoiono. Non c’è un Dio buono, non c’è alcuna via di fuga dal dolore, nemmeno il suicidio. Come se tutto questo non bastasse, ogni notte Guts è costretto a combattere contro un’orda di spiriti oscuri che lo perseguitano.

Quando apriamo il primo volume, Guts è noto alla gente come il Guerriero Nero. Un tizio inquietante, cinico, disilluso, guidato unicamente dalla propria sete di vendetta, in solitudine e ostinato a rimanerci, privo di empatia per chi soffre ed è debole. È un Orfano, ma è anche un’Ombra, perché dalla sua solitudine pretende di ribellarsi, senza successo, contro i suoi nemici e il suo destino.

Egli è arrivato a questo punto dopo aver perso i suoi amici, la Squadra dei Falchi. Li ha persi in un modo orrendo, e l’evento in cui li ha persi lo ha ferito permanentemente. Il marchio che porta addosso e che sanguina ogni qualvolta incontra i mostri nemici è la metafora di una ferita traumatica che non si richiude mai veramente. Probabilmente per paura di perdere di nuovo l’amore, di subire di nuovo una ferita simile, si è isolato e ha chiuso il suo cuore.

Si arriva quindi al punto in cui l’intreccio della storia, dopo un lungo flashback, ritorna a coincidere con gli eventi in ordine cronologico. E qui inizia l’arco narrativo detto de i Bambini Perduti. Questo è l’arco narrativo in cui Guts come Orfano esce finalmente dalla sua Ombra, tramite l’incontro con altri Orfani come lui.

In questo arco narrativo, Guts incontra una bambina contadina di nome Gill. Gill non è orfana in senso letterale, ma suo padre è un ubriacone violento che, insieme ai suoi amici adulti, vuole molestarla sessualmente, mentre sua madre è una povera donnetta incapace di difenderla. Il tutto mentre al villaggio dove vive dei mostri attaccano il bestiame, uccidono persone e rapiscono bambini, dimostrando tutta l’inettitudine dei normali adulti ad affrontare minacce sovrannaturali.

Gill quindi è orfana del mondo degli adulti, che non è in grado di offrirle nulla di buono. Poi arriva Guts, e per la prima volta incontra un adulto “affidabile”. Guts non è di certo un genitore modello, né una persona completamente buona o innocente, ma per la prima volta dopo tante notti, la povera Gill può finalmente riposarsi senza temere violenze sessuali. Il parallelo che viene tracciato fra lei e Guts è multiplo: entrambi devono affrontare notti insonni di combattimento, entrambi hanno conosciuto la violenza da parte degli adulti. Ma inizialmente Guts non sa nulla di tutto ciò, non sa che Gill è come lui, anche se lui è un guerriero e lei è solo una bambina.

In questo capitolo in particolare, ma anche nel resto del fumetto, il giudizio di Kentaro Miura sugli adulti è terribile, sono dei mostri: predatori sessuali, violenti, gelosi, perversi, imprevedibili oppure assenti e impietosi. E per fuggire da questi orrendi adulti che una bambina di nome Rosine, amica di Gill, si consegna alle forze del male, incarnando l’Orfano Ombra. Rosine è divenuta un Apostolo, cioè un mostro, che può volare e godere di immortalità e forza sovrumana.

Mentre inizialmente Guts sembra il cattivo che rifiuta di portarsi dietro con sé Gill, Rosine, nonostante il suo aspetto mostruoso, sembra buona e incompresa. Ha infatti creato un “paradiso”, un luogo dove tutti i bambini potranno finalmente trovare la libertà dagli adulti brutti e cattivi. Qui non c’è fame, non c’è tristezza, non c’è freddo, si può giocare per sempre liberi. Rosine-Lucignolo cerca di sedurre Gill-Pinocchio a prendere parte a questo paradiso, così come è riuscita a fare con tutti gli altri bambini che ha rapito. Le sue parole sono piene di rabbia, di vittimismo e di vendicatività e di grande autoindulgenza nei propri confronti. Rosine e tutti gli altri bambini hanno rifiutato la responsabilità della propria vita e della realtà per poter godere per sempre, e questo è giustificato dal fatto che i grandi fanno lo stesso quando si sfogano sui piccoli.

Ma a poco a poco quel paradiso toglie la maschera e rivela la sua immmoralità, perché costruito sulla prostituzione alle forze del male: qui i “bambini” ripetono la stessa crudeltà degli adulti, le stesse perversioni e si divertono così. Diventare come loro non è diverso dal diventare come gli adulti del villaggio. Non c’è veramente pace, non c’è libertà di scelta, non c’è salvezza. E Gill rifiuta Rosine.

Guts poi ucciderà Rosine e brucerà tutto, ma Gill non ha ancora perso la speranza in un paradiso. È disposta ad andarsene via con Guts. Allora lui le mostra una frazione dell’orrore della sua esistenza, ben peggiore di quella di Gill, e le impartisce un’importante lezione, la lezione dell’Orfano: non c’è alcun paradiso verso cui fuggire.

Il dolore non può essere evitato, va affrontato, va vissuto, è necessario per arrivare al vero paradiso, che di certo, ammesso che esista, non si ottiene vendendosi l’anima.

Alla fine, Gill tornerà al villaggio, ma il suo personaggio non è sminuito o disilluso; Kentaro Miura non punisce la bambina (e noi lettori) per aver creduto che ci fosse una via di fuga facile.

A casa l’aspettano ancora gli adulti orchi, ma non è triste o sconfortata, bensì è piena di una nuova forza datale dall’accettazione della realtà. Dovrà combattere ogni notte, proprio come Guts, ma ora si è presa la responsabilità della sua vita ed è questo che può restituirle la vera libertà e la vera felicità.

Anche Guts esce cambiato da questo arco narrativo, dall’incontro con queste due bambine. Gill gli ha offerto un’occasione per essere come l’Orfano dovrebbe veramente essere: solidale. Anche se alla sua maniera, l’ha salvata, e facendolo ha salvato sé stesso, smettendo di essere cinico e solitario. Da qua in poi tornerà ad avere amici (orfani come lui) che si porterà con sé fino al presente della storia (non ancora finita).

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Ho scritto tutto questo per dire che quando veniamo liberati da un’illusione, torniamo ad avere potere sulla realtà. L’idea che la nostra vera vita sia altrove, in un altro tempo o luogo, possibile o ideale, ci toglie potere e ci fa vivere nell’infelicità e nel vittimismo. Questi falsi paradisi, che anche nella realtà si ottengono vendendosi l’anima al diavolo, non ci restituiscono mai quello che promettono, ma nel frattempo ci fanno perdere la nostra umanità.

Anch’io credevo che la vita adulta fosse uno sbaglio, una maledizione. Mi sono a lungo attaccata all’idea che l’apice della mia vita fosse stato quando avevo avuto otto anni; nel contempo desideravo che la mia vera vita iniziasse, ma questi due pensieri erano inconciliabili. Ad un certo punto ho dovuto abbandonare l’illusione che l’infanzia fosse il periodo migliore dell’esistenza, il suo apice. Ogni età ha la sua bellezza e la sua bruttezza, e come Guts, anche io ho dovuto uccidere una Rosine dentro di me che non mi lasciava vivere. Quando infine muore l’attaccamento ad una vita impossibile, si rinasce e si ritorna ad accettare il mondo così com’è: si ritorna a vivere!

I problemi non svaniscono, ma il tuo spirito è di nuovo con te, e così la possibilità della felicità.

Anche se poi continuiamo a credere in un aldilà o nell’esistenza di divinità, smettiamo di essere Orfani Ombra e iniziamo a cambiare il nostro atteggiamento verso il mondo, da uno passivo ad uno attivo. Tante persone religiose, infatti, pur credendo in un aldilà, non hanno smesso di lottare nel mondo reale, accettando di pagare il prezzo di questa lotta con la propria vita, e con loro altrettanti che invece, pur non credendo in paradisi, non si sono sciolti nell’edonismo e nell’inerzia o in una piagnucolosa rassegnazione.

Spero di essere riuscita a farmi capire, anche se questo è difficile da comprendere fintanto che non lo si prova in prima persona. Però la felicità è fatta esattamente così, senza scorciatoie. E poi spero di avervi convinti a leggere Berserk! Credetemi, ne vale la pena.

L’Orfano, l’archetipo ribelle

L’archetipo dell’Orfano, l’incidente scatenante del Viaggio

Attenzione! Il contenuto di questo articolo è una sintesi di parte del contenuto del libro di Carol S. Pearson “Risvegliare l’Eroe dentro di noi” la quale è stata arricchita  e rielaborata sulla base dee mie riflessioni e dalla mia esperienza con l’argomento in questione.

Nel precedente articolo abbiamo parlato dell’archetipo dell’Innocente. Oggi parliamo di suo fratello, l’Orfano.

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Anche l’Orfano, come l’Innocente, è una figura legata all’infanzia, ma a differenza dell’Innocente ha conosciuto prematuramente il sentimento della perdita.  Nel Viaggio dell’Eroe, l’Orfano corrisponde al momento in cui l’Eroe sperimenta uno strappo nella sua quotidianità, l’incidente iniziale che mette in moto la catena degli eventi.

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Volevo mettere qui una nota letteraria. Tutte le migliori storie di scoperta e di crescita hanno inizio con un momento di orfanizzazione. Per orfanizzazione non si intende solo perdere i propri genitori o un parente caro, ma qualsiasi esperienza in cui veniamo abbandonati o traditi di qualcuno o qualcosa di cui ci fidavamo. Un auto pagata cara che smette di funzionare mentre siamo isolati… Un rappresentante politico che tradisce gli ideali del proprio partito e degli elettori… Un amico fidato che ci parla alle spalle; queste e altre sono esperienze orfanizzanti.

Ora penso al racconto mitico del Buddha. Il giovane principe veniva tenuto dal padre in uno stato artificiale di innocenza, chiuso in un palazzo immenso pieno di meraviglie. Se gli dèi non fossero intervenuti, quel ragazzo sarebbe rimasto lì per sempre, vivendo nello sfarzo, nel lusso e nell’illusione che la vita è fatta solo di cose belle. Assistere alla povertà, alla malattia, alla vecchiaia e alla morte è stato terribile, è stata cioè un’esperienza orfanizzante, la prova che il mondo non è fatto solo di bellezza e piacere. Eppure è proprio questa esperienza traumatica a mettere in moto il suo viaggio e a farlo tornare con l’elisir: la liberazione.

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Ricordiamo che anche l’Orfano fa parte della sacra famiglia dell’Io, dove svolge una funzione importante: accogliere gli scarti della nostra persona, tutto ciò che abbiamo rimosso o sacrificato per farci accettare dagli altri. L’Innocente ci fa amare dagli altri, ma solo noi abbiamo il dovere e la responsabilità di amare il nostro Orfano interiore. Nell’abbracciarlo, noi impariamo ad amarci così come siamo.

L’Orfano può sembrare inizialmente in opposizione all’Innocente, ma esso non gli è contrapposto bensì complementare. I due archetipi, quando sono sviluppati in maniera sana, si aiutano a vicenda a guidare l’Io nella società. L’Orfano, insegnandoci ad amare noi stessi, ci rende emotivamente indipendenti e impariamo a non affidare il nostro cuore con facilità. Quando poi lo abbiamo sviluppato, siamo in grado di riconoscerlo a partire dalla sofferenza del prossimo, provandone compassione. Ecco quindi i doni di questo bambino: il realismo e la solidarietà. Ma come per tutti gli archetipi, guai a lasciarlo fare senza supervisione! Se è solo l’Orfano a proteggere l’Io, si diventa persone ciniche, chiuse in sè stesse, vittimistiche e incapaci di farsi aiutare.

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L’Ombra di questo archetipo purtroppo la vediamo spesso in azione, perchè le sue azioni oscure occupano facilmente le prime pagine dei quotidiani e dei telegiornali. Un esempio banale sono le babygang, dove ragazzi e ragazzini si ribellano al sistema che li ha abbandonati, compiendo brutti crimini. In generale, qualsiasi organizzazione criminale nata sotto il segno della ribellione rientra nell’Ombra di questo archetipo. Di solito queste ribellioni non portano alcun cambiamento positivo, nè correggono gli errori che le hanno generate in primo luogo.

A livello individuale l’Ombra si sviluppa quando viene completamente rigettato l’Innocente e si abbraccia tutto dell’Orfano, anche la devianza più perversa, decidendo di esprimerla senza filtri e senza curarsi che questa faccia del male al prossimo, magari generando altri Orfani. Così si creano traumi intergenerazionali, vendette, odii che durano a lungo e che trasformano le persone in una copia di coloro da cui subirono del male.

Infine ci sono quelli che l’Orfano lo hanno buttato nel cassonetto. Quest’ultima categoria  è fatta di persone completamente vuote e alienate, ma perfettamente inserite a livello sociale. Vivono seguendo la massa, le mode, gli ordini che arrivano dall’alto e dall’esterno. A volte questo vuoto interiore esce fuori e lo manifestano con comportamenti compulsivi e malsani, eppure non riescono a ricondurlo all’alienazione da sè. Per simili individui non ci sarà mai posto per il vero amore o per la realizzazione dei propri sogni, e forse nemmeno per l’amore filiale perchè non sono in grado di insegnare ad un fanciullo o un adolescente ad amare sè stesso così com’è.

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In politica, la mancanza dell’Orfano sano si traduce in persone che vivono alienate e assenti dalla vita pubblica, incapaci di solidarietà. Altre invece, che coltivano l’Ombra, sono incapaci di dialogo costruttivo e di portare avanti cambiamenti reali. L’assalto a Capitol Hill è emblematico: quel giorno degli Orfani Ombra hanno tentato di cambiare le cose, sbagliando però completamente, mancando metodi e obiettivi. Nel frattempo, Maghi e Sovrani oscuri portano avanti la loro campagna di divide et impera, impedendo agli Orfani prodotti dalle loro politiche maligne di riunirsi e sconfiggerli.

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Io e l’Orfano

Sono vissuta nell’Ombra dell’Innocente,  e non a caso, l’Orfano era il mio archetipo più menomato. Non lo volevo accogliere, non volevo dargli il mio amore, ero esattamente come descritto sopra, alienata da me stessa. Nel frattanto la mia Orfana aveva tutto quello che io rifiutavo, sostanzialmente l’identità adulta, e con questa, una pletora di scomode e tristi verità.

Amare l’Orfana e accoglierla in casa è stato un lungo e doloroso lavoro, partito con l’accettare che sono una donna fino all’arrivare a realizzare il mio posto del mondo. E poi ho dovuto accettare una cosa orrenda per l’Innocente: la manchevolezza degli adulti, la loro fragilità, il loro essere umani e fallaci. Sembra scontato ma per me non lo era.

E ora un paradosso: ho faticato anche ad accettare tratti positivi del mio Ego. Perché? Probabilmente perché alcuni tratti positivi comportano una responsabilità, quella di esprimerli, e poi perchè in generale, accettare qualcosa di noi significa prendere atto dei nostri limiti e dare una forma al nostro Ego, riconoscere che ha un inizio e una fine e non si estende all’infinito. Se questo segna una certa fine alla propria ricerca di sè (almeno per un po’) significa anche rimanere con quello che si è al momento, anche se non ci piace. Per esempio, non accettavo il mio stile di disegno, che pure (me lo dico da sola), è bello, ma non è come immagino le cose nella testa o come l’arte dei miei artisti preferiti.

Però alla fine tutto questo è servito. Come l’Eroe, anche noi dobbiamo adempiere al nostro destino e tornare con l’elisir: noi stessi.

L’ Innocente, l’archetipo bambino

L’archetipo dell’Innocente, la prima tappa del Viaggio dell’Eroe

Attenzione! Il contenuto di questo articolo è una sintesi di parte del contenuto del libro di Carol S. Pearson “Risvegliare l’Eroe dentro di noi” la quale è stata arricchita  e rielaborata sulla base dee mie riflessioni e dalla mia esperienza con l’argomento in questione.

Nel precedente articolo ho introdotto il concetto degli archetipi, figure simboliche e ricche di significato, strumenti utili per guardarsi dentro e crescere ma anche per influenzare narrazioni. Oggi voglio parlare dell’archetipo che corrisponde alla tappa iniziale del Viaggio dell’Eroe: l’Innocente.

Piccola nota: avevo promesso ai lettori di parlare dell’Orfano e di un personaggio in particolare che lo rappresenta, però ho ritenuto doveroso fermarmi un passo prima e parlare dell’Innocente; questo per schiarirmi le idee ma anche per preparare un’introduzione all’Orfano.

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L’Innocente è l’archetipo che incarna la figura di un bambino, ancora ignaro dei pericoli del mondo, che vive amato e protetto. Esso sta a simboleggiare l’inizio del Viaggio dell’Eroe, quel momento in cui l’Eroe è ancora ignaro del proprio destino o riluttante ad adempiervi. Come l’Eroe, anche noi iniziamo il viaggio della vita ignari dei pericoli del mondo.

L’Innocente, insieme all’Orfano, al Guerriero e all’Angelo Custode, forma il gruppo degli archetipi dell’Io, cioè di quegli archetipi che si occupano del nostro benessere materiale, in sostanza, di mantenerci in vita, sani e protetti. (Per intenderci, il Cercatore, il Distruttore, l’Amante e il Creatore sono il gruppo degli archetipi dello Spirito, e infine il Sovrano, il Mago, il Saggio e il Folle formano il gruppo del Sè. Questi due gruppi hanno altri compiti che poi vedremo.)

Nel gruppo dell’Io, l’Innocente ha il compito di creare la nostra persona, da intendersi come la nostra maschera, il personaggio, cioè l’identità che adottiamo in risposta agli stimoli esterni. L’Innocente probabilmente è l’unico archetipo che nasce insieme a noi e durante i nostri primissimi stadi di vita ci spinge a scegliere il nostro stile di attaccamento, così come a interpretare i segnali che ci mandano i genitori, al fine di essere accuditi da loro.

Crescendo l’Innocente viene affiancato da tutti gli altri archetipi, però continua a lavorare per tutta la vita, assicurandosi che gli altri ci accettino. Chi ancora da adulto ha un forte Innocente che non media con altri archetipi continuerà ad essere una persona che cerca di compiacere gli altri, che si adatta a qualsiasi situazione piegandosi, e molto probabilmente è conformista. Questi tratti non sono necessariamente negativi, ma vanno a detrimento dell’autonomia dell’individuo.

Al contrario, se l’Innocente lavora insieme a tutti gli altri archetipi, e sopratutto, insieme all’Orfano e al Saggio, ci aiuta a mantenerci puri di cuore, cioè ad essere capaci di Fede, a saper coltivare la Speranza e i propri sogni, anche i più irraggiungibili. Con questi doni spirituali il pessimismo, il cinismo e il nichilismo vengono tenuti a bada, e vedono la luce grandi progetti ed opere. Ovunque ci sia stato qualcuno che ha creduto in qualcosa di apparentemente impossibile, vuoi che fosse fede, scienza, un progetto politico, o un’ambizione personale, indossava la maschera dell’Innocente.

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Come ogni archetipo, anche l’Innocente ha un’Ombra. Se l’Innocente buono è quello che ci salva, che ci conduce ad affidarci a Dio o a qualcosa di più grande di noi, l’Innocente Ombra è quello che si è affidato al Male, spesso inconsapevolmente, e rifiuta di guardare la realtà.

Gli archetipi sono frutto dell’interazione con la cultura e con le narrazioni, e perciò, come dicevo nel precedente articolo, possono essere anche influenzati dall’esterno, da parte dei poteri di Maghi Ombra. Brevemente, possiamo chiamare Maghi tutti coloro che lavorano nel mondo alla maniera dell’archetipo del Mago, cioè catalizzando trasformazioni e influenzando la realtà. I Maghi del nostro mondo sono coloro in grado di dominare le narrazioni e che conoscono i segreti che portano al cambiamento del cuore delle persone. I Maghi Ombra usano questo potere per il male, catalizzando cambiamenti negativi oppure ostacolando il cambiamento positivo, e fra queste persone non troviamo lo stereotipico mago col cappello, bensì marketers, spin doctors, influencers, coach, opinionisti, intellettuali e politici che hanno deciso di servire interessi oscuri. Questi Maghi malvagi, insieme ai Sovrani, sono i primi a lavorare contro di noi, per mantenerci nell’Ombra dell’Innocente.

E cos’è quest’Ombra? Essa è l’incarnazione di tutti i lati negativi dell’essere un bambino: inaffidabile, dipendente, abusabile. In famiglia e nella vita ci vogliono così genitori e parenti asfissianti, partner gelosi e possessivi.  In generale, qualsiasi persona, azienda, ente o istituzione che diventa ricca dalla nostra debolezza ci vuole Innocenti Ombra. I Sovrani e i Maghi Ombra esistono e diventano ricchi nel tenerci in questo stato di macabra innocenza, sviando il nostro Viaggio dell’Eroe, troncando lo sviluppo del nostro Ego e impedendogli di riunirsi allo Spirito per formare il Sè.  Questi nemici, se sono bravi, non usano la violenza contro di noi, bensì cercano di infantilizzarci, di adularci, di tenerci addormentati, indossando il volto dell’Angelo Custode.

L’Innocente Ombra si caratterizza per uno spiccato diniego della realtà con cecità selettiva e un forte senso di nostalgia. Si aspetta sempre che qualcuno faccia qualcosa per lui e non prende mai in mano la propria esistenza. L’Innocente Ombra non ha una vita propria perchè la passa chiedendo il permesso ai suoi padroni per fare qualsiasi cosa; viene da sè che non può mantenere le promesse o dare la parola, nè è mai veramente un genitore anche se genera figli, perchè su di questi non può avere alcuna autorità. L’Innocente Ombra è premiato in qualsiasi ambiente settario e chiuso e fintanto che le cose vanno bene non si risveglierà mai.

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Io e l’Innocente

Questa parte dell’articolo è dedicata al mio personale rapporto con questo archetipo. Parlerò di me, ma questo non impedisce a chiunque legga di trovare qualcosa di utile per sè stesso. Infatti le mie vicissitudini possono servire ad altri che stanno passando la stessa cosa.

Io sono stata a lungo preda dell’Innocente Ombra, per questo mi ossessiona e mi fa paura. Nel mio personalissimo caso ciò è accaduto perchè a guardia dell’Io c’era solo l’Innocente.

Il mio bambino interiore, anzi, la mia bambina, non sapeva come risolvere i miei problemi e non poteva nemmeno farlo. Insieme siamo andate avanti per molto tempo facendoci coraggio e cercando di affogare i problemi con palliativi tipici dell’età adolescenziale: musica, videogiochi, YouTube, doomscrolling. Siccome sono una personalità INFP avevo il pacchetto completo, comprensivo dei sogni ad occhi aperti e delle fughe nel passato. Questo è il riassunto della mia vita adolescenziale.

All’università, lentamente e inesorabilmente, i problemi divennero sempre più grossi, le mie mancanze sempre più evidenti. In questo periodo comprai Risvegliare l’eroe dentro di noi. Pian piano cominciai a rendermi conto di quanto ero messa male.

Toccai il fondo quando non ebbi più modo di fuggire dalla realtà, sperimentando per la prima volta la vita senza filtri, senza condimento. Faceva schifo e non aveva senso di essere vissuta, non era accettabile, al punto che pensai che la vita adulta era una forma di degenerazione, una punizione di Dio. Non capivo come facessero le altre persone a viverla. E  però nonostante questo “risveglio” le cose non potevano essere cambiate.

La mia Innocente Ombra era a guardia dello status quo e cambiare le cose significava mettere in crisi la realtà così com’era, provocando stress anche nelle persone che mi stavano intorno. Non avevo il permesso di sbagliare, nè di farmi male, ero ridotta ad una bambola. Gli altri archetipi dell’Io erano pericolosi per lo status quo e venivano umiliati se provavano a uscire fuori. Mi riferisco sopratutto al Guerriero e all’Orfano, che rivendicavano giustizia, libertà e autonomia e invece venivano zittiti, perchè alzare la testa significava mettere in pericolo i legami di cura che mi sostenevano.

Solo a ventun’anni realizzai per la prima volta che io potevo essere libera e decidere autonomamente della mia vita. Fino ad allora mi ero comportata come se fossi stata una macchina in attesa di ordini e mi sembrò assurda e persino proibita l’idea che potessi decidere per me.

Non sono sicura, ancora adesso, di essere sfuggita all’Ombra dell’Innocente, ma in parte sono guarita lasciando che anche gli altri archetipi dell’Io si esprimessero e dicessero la loro su come stavano le cose, in particolare l’Orfano che mi ha costretta a guardare la realtà e a togliere ad alcune persone il possesso del mio cuore. Poi devo ringraziare la Morte, che è entrata nella mia vita (senza bussare ovviamente) e ha aiutato a pulire e portare via un po’ di cose. Infine ho lasciato esprimere il Guerriero, resosi necessario per proteggere il Regno e per condurre una vita adulta.

In verità la lotta contro l’Ombra non finirà mai, perchè essa è profonamente radicata in me e il suo Regno di terrore è sempre pronto a tornare. Però fintanto che anche gli altri archetipi veglieranno, questo verrà tenuto a bada. Ancora una volta vale il motto latino “gnosce te ipsum” come antidoto salvavita: la conoscenza è potere, e la conoscenza dei propri punti deboli è necessaria per l’autodifesa.