Sugli Archetipi

Discussione e recensione del libro di Carol S. Pearson: Risvegliare l’eroe dentro di noi. Dodici archetipi per trovare noi stessi

Risvegliare l’eroe dentro di noi. Dodici archetipi per trovare noi stessi

Qualche anno fa mi sono imbattuta in questo testo studiando per l’esame di Brand Storytelling: per chi non lo sapesse, lo storytelling è l’arte di raccontare storie, narrazioni. Lo scopo del corso era imparare quest’arte con lo specifico scopo di tirare fuori il valore da un brand, di far sì che esso diventi un simbolo capace di creare senso e fornire identità. Gli archetipi, in questo caso, sono degli strumenti di cui lo storyteller si avvale in due modi: nel primo modo il consumatore viene inquadrato identificandolo con un archetipo o cercando di intercettare il suo archetipo più rappresentativo. All’interno della sua storia personale, il consumatore è l’Eroe, e il brand andrà a svolgere il ruolo di aiutante che porta a compimento felice questa storia. Nel secondo modo invece, lo storyteller si serve degli archetipi per comprendere quali valori vuole veicolare un brand, dalla microcelebrità fino alla grandissima azienda.

Questo excursus di storytelling ve l’ho messo per farvi capire in che modo ci si può servire degli archetipi, che lungi dall’essere fantasie pseudoscientifiche, sono invece degli strumenti razionali con effetti sul mondo reale e su di noi.

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Ma cos’è un archetipo?

È difficile spiegare in parole povere questo concetto. Non userò esattamente la terminologia junghiana, ma vi basti sapere che un archetipo è una immagine simbolica, una metafora psichica: più precisamente sono delle figure di ruoli che letteralmente o simbolicamente mettiamo in atto nel corso della nostra vita. Sono aspetti di noi, del nostro carattere, quasi letteralmente i costumi di scena indossati dalle nostre funzioni psichiche, che da invisibili sinapsi si presentano a noi in forma conoscibile e tangibile al pensiero cosciente.

Queste figure simboliche, secondo Jung e la sua scuola, si ripetono sotto varie forme in tutte le civiltà, e fanno parte del cosiddetto inconscio collettivo. Cioè sono un patrimonio collettivo immateriale umano, condiviso perché abbiamo una storia evolutiva comune, che ci rende, nel profondo, uguali gli uni agli altri.

Gli archetipi sono potenti perché sono metafore, strumenti culturali. Se la cultura è una cassetta degli attrezzi, gli archetipi sono cartine al tornasole, specchi, bussole, mappe, contenitori… Infatti, sistematizzando aspetti della nostra psiche sotto forma di figure simboliche possiamo avere un quadro generale di noi stessi: sarà sempre un quadro parziale, in costante mutamento, dal quale sicuramente sfuggono aspetti più sottili e raffinati della nostra psiche; pur tuttavia un quadro utile alla crescita personale.

Ma andiamo al succo!

Gli archetipi indicati dal libro della Pearson sono dodici e sono i seguenti:

L’Innocente, l’Orfano, l’Angelo Custode, il Guerriero, il Cercatore, il Distruttore, l’Amante, il Creatore, il Sovrano, il Mago, il Saggio e il Folle.

Ognuno di loro rappresenta contemporaneamente sia un aspetto di noi, con annesse funzioni psichiche, sia una tappa dell’ormai arcinoto viaggio dell’Eroe, dove l’Eroe siamo noi.

A livello intrapsichico questo è un viaggio da uno stadio inferiore di conoscenza di sé e di sviluppo mentale ad uno stadio superiore, comprendente maturazione, saggezza, e potere personale su noi stessi. A livello interpersonale questo è il viaggio che compiamo emancipandoci e diventando Adulti con la A maiuscola, un viaggio destinato inevitabilmente a scuotere il nostro status quo e a cambiare il nostro spazio vitale prossimo: il rapporto con la nostra famiglia, con i nostri amici, con la nostra casa, con il nostro vicinato, con i colleghi. E infine, a livello sociale, questo può essere un viaggio che ci cambia come cittadini, come umani, con il potenziale di cambiare il gruppo a cui apparteniamo e di portarlo con noi in questo viaggio, facendolo evolvere e cambiando il corso della Storia.

La Pearson, all’interno del suo libro, ci spiega i singoli archetipi con minuzioso dettaglio, non esitando a ricorrere ad aneddotica e a volte anche a qualche volo pindarico in fatto di religione, ma in maniera perfettamente coerente con quello che è l’uso stesso del libro: uno strumento per intercettare la propria narrazione personale.

E per intercettarla ancor meglio, la Pearson ha messo a punto un test a punteggio, che io stessa ho completato più volte, a distanza di anni, per valutarne l’efficacia. Ebbene, il test riporta secondo me risultati affidabili, a patto che si risponda con assoluta onestà. Ovviamente se non si è capaci di essere onesti con sé stessi e se si è pessimi osservatori della propria vita, il test non darà risultati veritieri e potrebbe essere fuorviante, arrivando addirittura ad autosuggestionarci. Purtroppo però, osservare sé stessi e raccontarsi la verità è qualcosa che è al di fuori dei poteri del libro. Il valore del test, delle spiegazioni degli archetipi e del viaggio interiore è da intendersi in senso esclusivamente narratologico, non scientifico.

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Come dicevo all’inizio, i marketers e gli storytellers si servono degli archetipi per farci spendere soldi (ovviamente) ma ancora di più per acquisire potere su di noi ed entrare a far parte delle nostre vite. Se questo non bastasse a convincere qualcuno del potere di questi strumenti, vi basterà sapere che politici e spin doctor potrebbero usarli alla medesima maniera per costruire narrazioni su un popolo o su sè stessi e influenzare così decisioni importantissime come quelle di voto. E poi, ancora, gli archetipi possono essere usati in terapia per aiutare i pazienti a guarire o a iniziare a immaginare una vita diversa da quella in cui si ritrovano. Infine, gli archetipi e il viaggio dell’Eroe si ritrovano in quasi tutte le storie: nei film, nei videoclip, nei libri, nei fumetti, e credo persino nelle canzoni e nelle mostre fotografiche!

Chiunque voglia dar forma ad una narrazione minimamente significativa, non può fare a meno degli archetipi e del viaggio dell’Eroe attraverso cui ci conducono. E a maggior ragione, dobbiamo stare all’erta contro storie che ci sviliscono, che adulandoci finiscono per raccontare la nostra caduta o sottomissione. Le storie hanno il potere di curare, ma anche di far ammalare.

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Detto questo, consiglio a tutti di leggere il libro, che potete acquistare su IBS cliccando sulla copertina. Consiglio anche di visitare il sito personale della Pearson: https://www.carolspearson.com/

Presto scriverò altri articoli in cui parlerò in dettaglio di alcuni archetipi. In particolare  mi preme parlare dell’archetipo dell’Orfano, nonché di un personaggio che lo rappresenta emblematicamente…

Il Feature phone

Com’è passare ad un feature phone.

Nokia Flip 2660

Quello che vedete è il mio nuovo Nokia Flip Phone 2660. Si tratta di un feature phone, cioè di un normale telefono cellulare con connettività limitata. Da quasi un mese questo è diventato ufficialmente il mio telefono.

Perché sono tornata indietro ad un cellulare più semplice?

Principalmente per un maggiore senso di libertà.

Da quando uso questo feature phone, faccio molto a meno dello smartphone, anche se ancora non posso eliminarlo del tutto.

La prima cosa che ho fatto è stata spostare la mia SIM sul nuovo telefono. Da quel momento in poi non dovevo più attendere le telefonate sullo smartphone, potendolo perciò spegnere e riporre in un luogo lontano dalla vista. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore.

La sera, è facile che io prenda lo smartphone e lo utilizzi come strumento per procrastinare l’orario del sonno. Si sa che essere assonnati è quasi come essere ubriachi: l’ho osservato su me stessa, notando come l’uso del cellulare ad orari notturni era un indicatore valido dell’assenza di autocontrollo dovuta alla stanchezza. Ora che posso spegnere lo smartphone, lo porto in un’altra stanza, così da non doverlo usare nei momenti in cui sono meno in grado di controllarmi. Faccio questo nella speranza che la qualità del mio sonno migliori nel lungo periodo, migliorando anche la mia freschezza durante il giorno.

Non ho smesso di usare YouTube, Instagram o Whatsapp. Tuttavia visitare questi siti da PC garantisce un migliore autocontrollo: c’è qualcosa infatti nella portabilità e intimità dello smartphone che rende difficile controllarne l’utilizzo, dal momento che può seguirti ovunque. Ovviamente spero di potermi staccare da questi servizi prima o poi, o di usarli in maniera sempre più consapevole, e solo se necessario.

Ora che l’intrattenimento facile è svanito, è più facile per me leggere libri, informarmi e dedicarmi ai miei hobby. Ho notato anche un aumento della quantità e qualità delle telefonate che faccio. Ora sono più in contatto con le persone a cui tengo, e, assurdo, ho ripreso a giocare online! Spero di fare sempre più telefonate e riprendere l’arte di sentire le persone a me vicine.

Purtroppo però, non ci sono solo buone notizie. Ho infatti subito un’amputazione: il mio rapporto con la musica. Il mio smartphone infatti era anche un mp3, e grazie a Spotify e YouTube Music potevo ascoltare molta musica. Dalla musica dipende il mio rapporto con la fantasia dal momento che la musica mi aiuta tantissimo a fantasticare. Nel momento in cui si vuole tornare ai “bei vecchi tempi”, c’è tutto il problema di comprare musica o scaricarla, trasferire le proprie canzoni, tenere aggiornate tutte le proprie librerie ecc…

Il mio rapporto con la musica va rivisto, ma è quanto mai importante che io ne riprenda il controllo in qualche modo. Forse comprerò un mp3.

In ogni caso, a meno di un mese di distanza, mi sento già di poter consigliare il mio feature phone anche ad altri. Un’unica pecca: non ha un hotspot che potrebbe farlo lavorare in sinergia con il PC. Ma è una pecca aggirabile, e che proverò presto ad aggirare.

Per ora, il percorso verso la libertà continua.

 

Limite per x che tende a infinito…

Immagine di youmath.it

Un limite per x tendente ad infinito. Il regno di Dio è una retta asintotica… non ha inizio, non ha fine. Noi siamo l’asintoto che cerca di avvicinarsi alla perfezione, all’eternità assoluta. Ma per quanto possiamo avvicinarci, non lo raggiungeremo mai… o meglio…

Nell’infinito, ci toccheremo. Ma allora non ci sarà più differenza fra noi e Dio, le linee diventeranno una sola.