Questo articolo lo dedico a tutti i fan di Berserk ma anche ai miei amici che non hanno tempo (o voglia) di leggerlo. Contiene degli SPOILER, ma ho cercato di ridurli al minimo nel caso poi vi venga voglia di leggervi il manga completo.
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Chiunque abbia letto Berserk in un periodo difficile della propria vita vi rimane poi legato per sempre. Io non faccio eccezione. Durante gli anni universitari me ne sono capitate di tutti i colori, e nel 2022 presi la decisione, per puro istinto, di leggere questo manga chiamato Berserk. Non sapevo molto, tranne che era un cult ma allo stesso tempo una storia terrificante.
Ne sono uscita ossessionata e allo stesso tempo cambiata. Avevo trovato una miniera d’oro, una storia di una completezza e ricchezza di rimandi simile per me solo ad Avatar: l’ultimo dominatore dell’aria. Kentaro Miura, il geniale autore di Berserk, ha saputo prendere ispirazione da quanto di meglio la cultura occidentale poteva offrire ad un uomo orientale, e ha usato questo per creare quella che a tutti gli effetti è una moderna tragedia greca, dotata dello stesso potere catartico delle storie antiche. (Per un approfondimento di questo argomento in particolare, rimando a questo video: https://www.youtube.com/watch?v=zxTwYdYzw8c )
Mentre ero afflitta dalla mia personale oscurità, Berserk mi dava pace e conforto. Non erano i suoi orrori e le sue oscenità, dipinti con crudele realismo, ad alleviare l’animo ferito, bensì l’approccio eroico con cui il protagonista, Guts, si opponeva a tutto il male che gli pioveva addosso, pagina dopo pagina. La vita era una merda, però andava vissuta lo stesso, senza dargliela vinta.
Non so se ero già in possesso del libro di Carol Pearson sugli archetipi, ma so solo che, ad un certo punto, dopo letture e riletture di Berserk, e dopo altrettante letture del capitolo sull’Orfano, realizzai che Guts era l’Orfano per eccellenza, e fu un momento epifanico per me. Se avete letto i miei precedenti articoli sull’Innocente e sull’Orfano, potrete intuire il perché, sennò ve lo spiego io, in poche parole:
rifiutavo di accettare la realtà così com’era, senza filtri e senza vie di fuga. Se l’avessi accettata, sarei sicuramente cresciuta, ma non potevo farlo. Una parte di me cercava di impedirmelo, per proteggermi, in un modo però che mi rendeva codipendente e incapace di stare in piedi con le mie forze. Questa parte però stava perdendo terreno e io ero scoperta e vulnerabile alla sofferenza. Nel bel mezzo di questo caos, arriva Berserk. Compartecipando ai sentimenti del suo protagonista, Orfano per eccellenza, sono riuscita a risvegliare il mio. Alla fine non ho avuto più bisogno di rileggere Berserk, perché la mia Orfana ha imparato da Guts tutto ciò che c’era da imparare. Si può accettare la vita così com’è, senza più bisogno di fuggirle.
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Perché Guts è l’Orfano?
Guts subisce un elenco infinito di esperienze orfanizzanti. Nasce da una madre morta tanto per cominciare. Poi praticamente quasi tutti quelli che entrano in contatto con lui muoiono. Non c’è un Dio buono, non c’è alcuna via di fuga dal dolore, nemmeno il suicidio. Come se tutto questo non bastasse, ogni notte Guts è costretto a combattere contro un’orda di spiriti oscuri che lo perseguitano.
Quando apriamo il primo volume, Guts è noto alla gente come il Guerriero Nero. Un tizio inquietante, cinico, disilluso, guidato unicamente dalla propria sete di vendetta, in solitudine e ostinato a rimanerci, privo di empatia per chi soffre ed è debole. È un Orfano, ma è anche un’Ombra, perché dalla sua solitudine pretende di ribellarsi, senza successo, contro i suoi nemici e il suo destino.
Egli è arrivato a questo punto dopo aver perso i suoi amici, la Squadra dei Falchi. Li ha persi in un modo orrendo, e l’evento in cui li ha persi lo ha ferito permanentemente. Il marchio che porta addosso e che sanguina ogni qualvolta incontra i mostri nemici è la metafora di una ferita traumatica che non si richiude mai veramente. Probabilmente per paura di perdere di nuovo l’amore, di subire di nuovo una ferita simile, si è isolato e ha chiuso il suo cuore.
Si arriva quindi al punto in cui l’intreccio della storia, dopo un lungo flashback, ritorna a coincidere con gli eventi in ordine cronologico. E qui inizia l’arco narrativo detto de i Bambini Perduti. Questo è l’arco narrativo in cui Guts come Orfano esce finalmente dalla sua Ombra, tramite l’incontro con altri Orfani come lui.
In questo arco narrativo, Guts incontra una bambina contadina di nome Gill. Gill non è orfana in senso letterale, ma suo padre è un ubriacone violento che, insieme ai suoi amici adulti, vuole molestarla sessualmente, mentre sua madre è una povera donnetta incapace di difenderla. Il tutto mentre al villaggio dove vive dei mostri attaccano il bestiame, uccidono persone e rapiscono bambini, dimostrando tutta l’inettitudine dei normali adulti ad affrontare minacce sovrannaturali.
Gill quindi è orfana del mondo degli adulti, che non è in grado di offrirle nulla di buono. Poi arriva Guts, e per la prima volta incontra un adulto “affidabile”. Guts non è di certo un genitore modello, né una persona completamente buona o innocente, ma per la prima volta dopo tante notti, la povera Gill può finalmente riposarsi senza temere violenze sessuali. Il parallelo che viene tracciato fra lei e Guts è multiplo: entrambi devono affrontare notti insonni di combattimento, entrambi hanno conosciuto la violenza da parte degli adulti. Ma inizialmente Guts non sa nulla di tutto ciò, non sa che Gill è come lui, anche se lui è un guerriero e lei è solo una bambina.
In questo capitolo in particolare, ma anche nel resto del fumetto, il giudizio di Kentaro Miura sugli adulti è terribile, sono dei mostri: predatori sessuali, violenti, gelosi, perversi, imprevedibili oppure assenti e impietosi. E per fuggire da questi orrendi adulti che una bambina di nome Rosine, amica di Gill, si consegna alle forze del male, incarnando l’Orfano Ombra. Rosine è divenuta un Apostolo, cioè un mostro, che può volare e godere di immortalità e forza sovrumana.
Mentre inizialmente Guts sembra il cattivo che rifiuta di portarsi dietro con sé Gill, Rosine, nonostante il suo aspetto mostruoso, sembra buona e incompresa. Ha infatti creato un “paradiso”, un luogo dove tutti i bambini potranno finalmente trovare la libertà dagli adulti brutti e cattivi. Qui non c’è fame, non c’è tristezza, non c’è freddo, si può giocare per sempre liberi. Rosine-Lucignolo cerca di sedurre Gill-Pinocchio a prendere parte a questo paradiso, così come è riuscita a fare con tutti gli altri bambini che ha rapito. Le sue parole sono piene di rabbia, di vittimismo e di vendicatività e di grande autoindulgenza nei propri confronti. Rosine e tutti gli altri bambini hanno rifiutato la responsabilità della propria vita e della realtà per poter godere per sempre, e questo è giustificato dal fatto che i grandi fanno lo stesso quando si sfogano sui piccoli.
Ma a poco a poco quel paradiso toglie la maschera e rivela la sua immmoralità, perché costruito sulla prostituzione alle forze del male: qui i “bambini” ripetono la stessa crudeltà degli adulti, le stesse perversioni e si divertono così. Diventare come loro non è diverso dal diventare come gli adulti del villaggio. Non c’è veramente pace, non c’è libertà di scelta, non c’è salvezza. E Gill rifiuta Rosine.
Guts poi ucciderà Rosine e brucerà tutto, ma Gill non ha ancora perso la speranza in un paradiso. È disposta ad andarsene via con Guts. Allora lui le mostra una frazione dell’orrore della sua esistenza, ben peggiore di quella di Gill, e le impartisce un’importante lezione, la lezione dell’Orfano: non c’è alcun paradiso verso cui fuggire.
Il dolore non può essere evitato, va affrontato, va vissuto, è necessario per arrivare al vero paradiso, che di certo, ammesso che esista, non si ottiene vendendosi l’anima.
Alla fine, Gill tornerà al villaggio, ma il suo personaggio non è sminuito o disilluso; Kentaro Miura non punisce la bambina (e noi lettori) per aver creduto che ci fosse una via di fuga facile.
A casa l’aspettano ancora gli adulti orchi, ma non è triste o sconfortata, bensì è piena di una nuova forza datale dall’accettazione della realtà. Dovrà combattere ogni notte, proprio come Guts, ma ora si è presa la responsabilità della sua vita ed è questo che può restituirle la vera libertà e la vera felicità.
Anche Guts esce cambiato da questo arco narrativo, dall’incontro con queste due bambine. Gill gli ha offerto un’occasione per essere come l’Orfano dovrebbe veramente essere: solidale. Anche se alla sua maniera, l’ha salvata, e facendolo ha salvato sé stesso, smettendo di essere cinico e solitario. Da qua in poi tornerà ad avere amici (orfani come lui) che si porterà con sé fino al presente della storia (non ancora finita).
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Ho scritto tutto questo per dire che quando veniamo liberati da un’illusione, torniamo ad avere potere sulla realtà. L’idea che la nostra vera vita sia altrove, in un altro tempo o luogo, possibile o ideale, ci toglie potere e ci fa vivere nell’infelicità e nel vittimismo. Questi falsi paradisi, che anche nella realtà si ottengono vendendosi l’anima al diavolo, non ci restituiscono mai quello che promettono, ma nel frattempo ci fanno perdere la nostra umanità.
Anch’io credevo che la vita adulta fosse uno sbaglio, una maledizione. Mi sono a lungo attaccata all’idea che l’apice della mia vita fosse stato quando avevo avuto otto anni; nel contempo desideravo che la mia vera vita iniziasse, ma questi due pensieri erano inconciliabili. Ad un certo punto ho dovuto abbandonare l’illusione che l’infanzia fosse il periodo migliore dell’esistenza, il suo apice. Ogni età ha la sua bellezza e la sua bruttezza, e come Guts, anche io ho dovuto uccidere una Rosine dentro di me che non mi lasciava vivere. Quando infine muore l’attaccamento ad una vita impossibile, si rinasce e si ritorna ad accettare il mondo così com’è: si ritorna a vivere!
I problemi non svaniscono, ma il tuo spirito è di nuovo con te, e così la possibilità della felicità.
Anche se poi continuiamo a credere in un aldilà o nell’esistenza di divinità, smettiamo di essere Orfani Ombra e iniziamo a cambiare il nostro atteggiamento verso il mondo, da uno passivo ad uno attivo. Tante persone religiose, infatti, pur credendo in un aldilà, non hanno smesso di lottare nel mondo reale, accettando di pagare il prezzo di questa lotta con la propria vita, e con loro altrettanti che invece, pur non credendo in paradisi, non si sono sciolti nell’edonismo e nell’inerzia o in una piagnucolosa rassegnazione.
Spero di essere riuscita a farmi capire, anche se questo è difficile da comprendere fintanto che non lo si prova in prima persona. Però la felicità è fatta esattamente così, senza scorciatoie. E poi spero di avervi convinti a leggere Berserk! Credetemi, ne vale la pena.